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Dylan Dog 439 "L'invasione silenziosa"



Mamma mia cosa ho letto? Che delusione. Baraldi per me ha sempre significato qualità ma qui siamo di fronte a una storia che non raggiunge nemmeno lontanamente la sufficienza. La storia, nonostante fosse ben lontana dall’essere originale, era partita bene. Dylan, per un motivo banale, si ritrova a vedere/non vedere i veri volti delle persone (ogni riferimento a “Essi vivono” di Cronenberg non è casuale) e per questo motivo decide di indagare sul motivo di tali visioni. E' qui che inizia il viaggio senza capo né coda che ci accompagnerà fino al finale (e che banalità di finale!). La Baraldi ha messo tutte le ovvietà possibili: complottismo da antenne 4G (anche se qui si parla di 6G), motti populisti del tipo “Loro ci vogliono fottere ma noi lotteremo per la verità!”, “Non ci piegheremo al potere!”, “noi siamo il bene e voi che vi piegate al sistema siete il male!” e via così, senza ritegno.
Davvero, che delusione! Un fiume in piena di bieco populismo.
Una storia banale e pericolosamente sempliciotta che sembra piu' voler parlare al populista del bar di quartiere che all’appassionato di fumetti che vuole davvero aprirsi la mente.
Anche i riferimenti cinematografici sono davvero di facilissima lega e danno proprio l’intenzione di essere stati buttati li’ per dare spessore alla storia, del tipo: se capisci il riferimento allora sei davvero un figo…che brutto e che delusione perchè la Baraldi non è questo. Spero veramente che sia stato uno scivolone e che “L’invasone silenziosa” possa essere dimenticato il prima possibile. Ah, ho dimenticato di dire che lo stesso Dylan come viene caratterizzato in questa storia, non mi è proprio piaciuto. Un personaggio che subisce totalmente gi eventi e che altro non può’ fare se non aspettare che le cose succedano e restando passivo agli eventi.

Concludo dicendo che gli stessi disegni di Furno’ non mi sono piaciuti. I volti soprattutto. Poco maturi e scavati. Personalmente preferisco visi piu’ segnati dal tempo e grezzi con tratti piu’ cattivi e meno “digitali” di questi visti in questo racconto.

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